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Al mattino ognuno ha le sue abitudini. C’è chi inizia la giornata leggendo o interagendo con qualche post sui social. Chi le inizia indossando delle cuffiette per ascoltare l’ultima puntata del proprio podcast preferito, magari mentre si prepara una colazione adeguata. O ancora, chi inizia la giornata con attività fisica monitorata magari dal proprio smartwatch per interpretare battiti e calorie bruciate prima di iniziare la routine quotidiana. Tutte queste azioni hanno un fattore in comune e non è quello temporale: tutte queste esperienze producono dei dati, frutto dell’incontro tra la Persona e le continue connessioni e interazioni tra il mondo reale e quello digitale. Elementi impalpabili eppure tracciabili e predisposti per essere parametro e fotografia di ciò che accade, come un dettaglio in un’opera d’arte o un pixel su un display. Questi dati, prodotti in maniera inconsapevole per quanto riguarda alcuni frangenti, raccontano di chi le crea, creando delle tracce digitali che portano fino ad esso.
Le tracce digitali raccontano con i dati molteplici sfaccettature, andando a comporre quella che può essere definita esperienza: per valutare un rapporto o uno scenario il parametro principale – se non l’unico – è proprio la nostra esperienza. In virtù di ciò le Aziende che riescono a gestire, trattare e interpretare i dati in modo strategico – definendo un approccio data-driven – possono posizionarsi sul mercato in ruoli da leader. Il motivo è presto detto: il dato compone l’esperienza di un utente, delineando quindi il successo o il fallimento di un progetto. I dati inoltre permettono anche la rimodulazione dell’organizzazione interna: grazie ad essi si può definire il punto vincente o il punto critico di una filiera o di un singolo processo, in quanto diventano parte integrante dei processi decisionali quotidiani. La tecnologia oggi permette di accelerare questa integrazione dei dati, in quanto è possibile poter istituire centri di Business Intelligence che integrano il Machine Learning e sistemi di IA, velocizzando e approfondendo la raccolta e la gestione dei dati inserendoli in sistemi accessibili all’organizzazione per un pronto impiego nel decision making.
Un viaggio guidato dai dati
L’approccio data-driven è trasversale: apporta migliorie di natura differente sia all’interno di un’organizzazione che all’esterno della stessa. In quest’ultima fattispecie il riferimento è al Customer Journey.
Delimitando il concetto di esperienza all’interazione tra un individuo e un brand, è possibile tracciare tre fasi che caratterizzano la CX: la prima che coincide con l’aspettativa nei confronti del brand/prodotto, la fase centrale che ne documenta l’esperienza dell’utente in fase di utilizzo e la fase finale che è quella del ricordo legato all’acquisto e all’uso.
I riflettori sull’esperienza del consumatore si sono accesi nei primi anni ’70, passando dall’economia dell’esperienza all’era del consumatore, pian piano sempre più al centro di trasformazioni in termini di fruizione e rapporto con i mercati. Nel processo di cambiamento il ruolo di acceleratore l’ha rivestito la tecnologia: da un rapporto one-to-many si è giunti al moment marketing, approccio che punta alla soddisfazione del bisogno del consumatore in un dato momento nel tempo.
Nell’era Onlife in cui viviamo, il rapporto con la tecnologia è imprescindibile: con la sua permeazione nelle dimensioni sociali, relazionali e professionali, la produzione di dati è aumentata al punto che per categorizzarle sono nate unità di misura impensabili come il brontobyte – 10 alla 27° potenza di byte – cioè circa 1.000.000 zettabyte. Una mole di dati utili ma opachi: la loro interpretazione non è affatto scontata. Se i dati possono essere analizzati con un approccio quantitativo, c’è da tener presente la dimensione qualitativa della CX: le componenti emotive, sociali e culturali orientano il dato e ne sono parte integrante e imprescindibile. La stessa CX resta un processo mutevole e sensibile al contesto in cui si sviluppa.
La difficoltà oggettiva nel misurare l’esperienza non deve rappresentare però un ostacolo: l’approccio quantitativo presenta dei limiti così come quello qualitativo. Dedurre che ‘in medio stat virtus’ è comunque una visione limitata: il metodo quanti-qualitativo seppure scientificamente valido e pregno di soluzioni efficaci si limita ad un pubblico circoscritto, ignorando molte connessioni tra Azienda e consumatore.
Soluzioni hi-tech per la customer experience
La tecnologia, come nel percorso interno da tracciare con un approccio data-driven, è di supporto anche nella misurazione della CX: strumenti di Machine Learning e di IA possono mappare l’intero percorso e tutta la gamma di touchpoint aziendali estrapolando parametri da inserire all’interno di un framework.
La pervasività della misurazione è fondamentale: ogni traccia digitale che viene lasciata in appositi ‘luoghi’, se opportunamente presidiati. può rivelarsi fonte di business profittevole e inesplorata. Solo mappando i touchpoint è possibile mappare tutta la gamma di fenomeni che intervengono sul mercato e consequenzialmente sulle esperienze dei clienti. Questa intersezione tra metodi tradizionali e indagini data-driven esalta gli aspetti delle due metodologie: una consapevolezza reale del Customer Journey con possibilità di interventi reali e mirati su percorsi già mappati.
Se la raccolta viene avviata con la tecnologia, la sua presenza si rende imprescindibile in fase di calcolo con abilitatori come il Machine Learning e il Cloud. Se il primo si occupa della logica dietro il calcolo, il secondo rende questa logica rapida ed efficiente. Combinando la rapidità e la precisione della logica di calcolo tipica dell’approccio data-driven e la capacità dell’approccio quali-quantitativo di penetrazione rispetto ad alcuni dei Customer Journey si ottiene l’approccio innovativo sviluppato da BIP, che relaziona la CX ai KPI di business i quali possono essere scomposti in KPI più operativi mostrando il legame con i KPI di interesse per il business di riferimento.
L’unione degli approcci porta ad una situazione di win-win: si ottiene la piena consapevolezza del Journey eliminando l’arbitrarietà dei metodi tradizionali consentendo di intervenire su percorsi reali e ‘fotografati’ in tempo reale, rendendo il design thinking più efficace in quanto i dati sono resi ‘potabili’.
Experience Mining, il nostro framework
Experience Mining parte proprio dai contatti con i touchpoint aziendali, sia fisici che digitali. Tutti i dati raccolti, in ottemperanza con la normativa vigente in termini di privacy, non espone alcun dato sensibile e tratta i dati in forma anonima. Tali contatti, nel pieno rispetto delle norme, possono essere ricondotti ad un singolo cliente con l’incrocio di tracce raccolte su vari touchpoint previo azioni di pre-processamento che raffinano e affinano l’informazione raccolta.
Dopo questo processo di raffinazione viene innescato un ciclo affidato a tecnologie di Process Mining, le quali ricostruiscono il flusso di attività abilitando una serie di funzionalità di analisi tra cui la definizione e misurazione dei KPI del cliente, l’analisi delle prestazioni su KPI specifici correlate alle metriche standard di Customer Satisfaction e il filtraggio del processo effettutato per eventi o attributi ritenuti d’interesse per evidenziare eventuali comportamenti distorti.
Questa fase risulta complessa in quanto comprende la gestione di molteplici ‘percorsi unici’, che possiedono al loro interno tante variabili quante sono le possibilità di contatto con gli utenti, in quanto solo una parte di tali percorsi è standardizzata. A questo punto critico il framework risponde con un modulo di Machine Learning che predispone un ‘clustering comportamentale’ relazionato alle catene di eventi afferenti alla sequenza di interazioni tra utenti e azienda. L’algoritmo BIP, de facto, aggrega gruppi di utenti che hanno tratti omogenei di comportamento per poter rilevare modelli comportamentali partendo dai dati.
Questi cluster definiscono dei segmenti di customer base che rafforzano la definizione di Customer Personas, archetipi artificiali che incarnano tutto ciò che arriva dal segmento clusterizzato: comportamento, abitudini, bisogni e aspettative. La ‘presenza’ delle Personas rappresentano una chiave per comprendere cause, motivazioni ed effetti rispetto a determinanti comportamenti degli utenti. Il loro ruolo però non si esaurisce in questa fase: esse si rendono inoltre fondamentali anche in fase di definizione di KPI specifici e ritagliati sui modelli comportamentali che emergono, ricoprendo un ruolo di componente informazionale aggiuntiva.
Il framework nasce per essere integrato con altri sistemi di actionability aziendali allo scopo di attivare azioni tempestive nel caso in cui i KPI di riferimento segnalino derive negative su un segmento. Un esempio pratico è legato all’interazione tra il framework e i sistemi di Campaign Management: con l’interazione tra framework e sistemi è possibile attivare in tempo reale azioni per riattivare l’ingaggio e la successiva conversione, nonché lanciare azioni di prevention attiva.
Uno dei punti di forza del framework è la sua adattabilità: l’Experience Mining è stato impiegato con successo in organizzazioni posizionate in ambiti profondamente differenti, in quanto l’approccio non è focalizzato su una industry specifica, ma mira ad essere uno strumento valido per supportare e accelerare i processi e i team di design thinking, i quali possono contare su uno strumento che analizza i dati opportuni nel segmento indicato, predisponendo il terreno a soluzioni customizzate sui bisogni in tempo reale, a partire dalle prime azioni di una giornata.