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Luca Maniscalco

Networking & Mentorship: temi cardine del lavoro del futuro

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Un manager deve rimanere sempre più competitivo, deve mantenere un mindset da innovatore e può farlo alimentando e coltivando la propria rete ma anche chi si affaccia al mondo del lavoro può trarre beneficio dalla curiosità di conoscere valori e strategie delle aziende.

Al centro delle organizzazioni ci sono persone e il loro impatto positivo può andare anche al di là, fino alla società. Oltre gli spazi fisici oggi ne esistono tanti di virtuali con infinite possibilità, molte gratuite, per fare networking, dai co-working a LinkedIn agli eventi ibridi.

Le attività di diversity & inclusion non possono essere solo campagne di marketing. Il networking è lo strumento più potente per la ricerca di un nuovo lavoro, in quanto il 70% delle posizioni transita nel mercato del lavoro nascosto, che nell’83% dei casi è rappresentato da legami deboli.

Il networking è una vera e propria competenza da allenare e incrementare, ne è convinta una professionista che di relazioni se ne intende: Valentina Goglio, Admission & Recruitment Management Academy presso POLIMI Graduate School of Management, Professional Coach ACC ICF.

Con lei abbiamo approfondito anche l’importanza oggi delle mentorship, per supportare i professionisti nelle decisioni anche senza aver chiare tutte le opzioni o caratteristiche.

Valentina, se dico networking, tu cosa mi rispondi?

Spesso si pensa che fare networking con un interlocutore voglia dire ottenere un beneficio immediato, qualcosa finalizzato solo al proprio sviluppo e miglioramento: al centro c’è sempre il nostro mondo e in questa modalità diffusa e talvolta fastidiosa tutto si ferma di fronte ai nostri bisogni. Per “agire” il networking occorre cambiare radicalmente paradigma. Considerare il networking come una competenza da allenare e incrementare. Si tratta di pensare e progettare instancabilmente valore per l’altro e per sé, all’interno ed esterno del contesto aziendale come filosofia di vita professionale, con spirito di servizio e (inter)connessione con gli altri, scambio e arricchimento di informazioni, creazione di ponti tra persone e organizzazioni, creazione di trust e di valore. Per questo il mio riferimento per definire il networking e la strategia per agirlo è quanto ha sintetizzato Darcy Rezac: “Scopri quello che tu puoi fare per gli altri”.

Oggi si sente spesso dire che il Networking è il nostro capitale sociale, ma è Paolo Gallo, Ex CHRO del WEF e autore del testo che abitualmente consiglio a tutti “La bussola del successo” del 2016 e del più recente “The Seven Games of Leadership: Navigating the Inner Journey of Leaders” Editore Bloomsbury Business, a guidarci su come trovare un significato, pur rimanendo rilevanti nel mercato e, si, a non perdere il lavoro per la velocità esponenziale dei progressi tecnologici.

Paolo Gallo ci spiega che il nostro valore professionale e personale è pari al capitale di conoscenza più il capitale di relazione moltiplicato per il capitale di reputazione.

Perché moltiplichiamo per valore reputazionale? Perché ogni numero moltiplicato per zero è sempre uguale a zero, nel caso avessimo dei dubbi sul valore reale della nostra reputazione.

E quindi proprio grazie al network, le capacità di una persona possono elevarsi in modo esponenziale, l’Io elevato alla potenza del Noi, come che ci ricorda Reid Hoffman, cofondatore LinkedIn.

Quanto è stato importante il networking nella tua vita professionale?

Fino a qualche anno fa, mi occupavo anche di selezionare i candidati ai nostri master Executive MBA, ho avuto la fortuna di incontrare ogni anno oltre trecento talentuosi professionisti motivati ad accrescere le proprie competenze per inseguire i propri sogni e fare la differenza nelle imprese, uno stimolo costante che mi ha portato a certificarmi come Professional Coach e a continuare a credere nella centralità degli uomini e delle donne nelle organizzazioni e supportarle con entusiasmo perché insieme si possa creare valore e avere un impatto positivo nella società.

Quello che ho imparato occupandomi poi di una community di oltre quindicimila persone è che possiamo essere anche dei facilitatori, oltre che dei networker, per far conoscere le persone tra di loro, perché possano sperimentare da subito le opportunità date dal confronto, rendendoli più consapevoli che le sfide sono comuni e che possono essere affrontate con una rete di sostegno che le renda meno difficili.

Ho avuto modo di imparare come le relazioni nate in primis dalla curiosità possano essere forse la più importante fonte per generare innovazione nel nostro mindset, nelle imprese e nelle associazioni. 

L’innovazione è un processo di rete, perché la rete ha un impatto sula creatività, sulla conoscenza e sull’apprendimento. Ma per essere innovatori bisogna ricordarsi il “So di non sapere” di Socrate, il “Dubito ergo sum” di Sant’Agostino.

Solo con umiltà, possiamo essere positivamente curiosi e aperti alla creazione di relazioni durature che possono anche dar vita a un network fatto di persone, enti pubblici e aziende in cui si può condividere valori e passioni comuni e co-creare progetti innovativi con un impatto sociale rilevante.

Cosa consiglieresti ad un ragazzo che si affaccia nel mondo del lavoro? E a un manager?

Consiglierei a entrambi di essere curiosi, di fare domande, di ampliare le proprie conoscenze e opportunità confrontandosi direttamente con i professionisti di funzioni e settori diversi. I cambiamenti oggi avvengono con sempre maggiori rapidità e l’incertezza rimane una variabile costante, per prendere decisioni strategiche il confronto può solo essere un beneficio arricchente. Chi si affaccia nel mondo del lavoro può avere così maggiori informazioni sulle diverse funzioni lavorative al di là dei job title e su come valori e strategie aziendali promossi sulle webpage possono essere effettivamente messi a terra nell’organizzazione.

Un manager deve rimanere sempre più competitivo, deve mantenere un mindset da innovatore e, come abbiamo visto, può farlo alimentando e coltivando la propria rete. Oggi gli spazi fisici e virtuali offrono tantissime possibilità gratuite per fare networking, dai co-working a linkedin agli eventi ibridi.

Net – working ovvero net, rete, quella che serve per catturare qualcosa e la rete come lo strumento di supporto per non precipitare a terra e working, it works e il riferimento alla vita professionale.   

Cogliamo, quindi, ogni opportunità di fare rete per andare in profondità, ma non dimentichiamo la gratitudine e il riconoscimento verso chi ci sta supportando.

La fiducia è ciò che permette che le relazioni siano durature e costruttive, perché si mantenga la fiducia, la comunicazione (online e offline, Ça va sans dire) deve essere a mio parere autentica. Penso non solo ai leader, ma anche ai giovani professionisti a cui va il mio invito a comunicare in modo vero, sincero e con coraggio, che come ci dice la parola dal latino vuol dire avere cuore. Il coraggio di agire con uno scopo preciso e di fare cose che rivelino la nostra essenza autentica, la capacità di accogliere l’essere diverso da me e continuare a imparare e anche di sapersi inserire in un team variegato.  

Solo così potremo contribuire tutti a implementare nelle imprese, nelle nostre reti online e offline, nella nostra cultura e nella vita quotidiana politiche e azioni di diversity & inclusion che non siano solo campagne di marketing.

Secondo te la formazione professionale tiene abbastanza conto di queste attività?

Tra i primi professioni in Italia a parlare di Networking c’è Marco Vigini, autore del consigliatissimo “Networking & Lavoro”. Ritengo che sia importante sviluppare questa competenza per i professionisti, attraverso workshop e laboratori pratici che possano rendere i partecipanti sempre più autonomi nella gestione del proprio sviluppo professionale.

A questo proposito, nella formazione Executive sono diventanti sempre più presenti corsi sul Personal Branding, ma non mancano laboratori sull’utilizzo di LinkedIn, sulla definizione del proprio obiettivo e piano di carriera, corsi sulla leadership, sulla comunicazione efficace e sulla negoziazione.

Il networking è lo strumento più potente per la ricerca di un nuovo lavoro, in quanto il 70% delle posizioni transita nel mercato del lavoro nascosto, che nell’83% dei casi è rappresentato da legami deboli, ovvero le relazioni non consolidate frequentate occasionalmente o che si sono perse nel tempo, per questo è necessaria la mappatura dei circuiti personali e professionali.

Certo sappiamo bene che queste azioni richiedono tempo e soprattutto fatica quando si ricercano nuove opportunità lavorative che sembrano non arrivare mai. Come in tutti i piani di azione, bisogna poi individuare e far leva sulla propria motivazione o chiedere un supporto. Un mentor o percorso di coaching che lavori sul mettere a terra il proprio potenziale possono essere strumenti molto efficaci e si stanno sempre più diffondendo nella formazione professionale e nelle aziende.

Tu hai un mentor?

Sono stata molto fortunata, il mio percorso professionale mi ha permesso di incontrare manager di valore e di grande ispirazione e il coaching di trovare maestri, come Marina Osnaghi, che sono sempre un riferimento per la mia crescita continua sia personale che professionale. La più grande fortuna è stata avere come mentor Gianna Martinengo, un’imprenditrice innovativa che ha fatto del fare il principio attivo di tutto il suo percorso, CEO di Didael KTS, Membro del Board Innovazione Tecnologica e Trasformazione Digitale del Comune di Milano, Membro del Comitato Scientifico MUSA Scarl e UNISALUTE, Ideatrice e Presidente di Women&Tech® ETS, associazione in cui faccio parte del Comitato Scientifico. Gli obiettivi dell’associazione sono di valorizzare il talento femminile nella tecnologia, nell’innovazione e nella ricerca scientifica, promuovere progetti e azioni finalizzate alla lotta agli stereotipi e alla discriminazione di genere, contribuire all’orientamento dei giovani ai mestieri del futuro e verso modelli imprenditoriali sostenibili.

Ricordo ancora le parole che mi hanno colpito al primo incontro con Gianna, bisogna fare una cosa per volta, in un’epoca in cui le donne di successo dovevano essere multitasking e vantarsi di gestire più cose contemporaneamente. Il dono di cui sarò sempre grata è stato quello di trovare una persona che ti permette di vedere le tue qualità e potenzialità con i suoi occhi e che ti sprona a sfruttarle per la tua crescita ma soprattutto per obiettivi di parità di genere ancora lontani e di supporto ai più giovani.

Quanto consiglieresti una mentorship a un professionista?

Questa parola è un’antonomasia che scaturisce dal nome di un personaggio del mito greco: Mentore. Quando Ulisse partì da Itaca per andare a guerreggiare a Troia, affidò il suo giovane figlio Telemaco alle cure di Mentore, figlio del suo caro amico Alcino, che partì con lui. La sua grande rilevanza è dovuta al fatto che la dea Atena stessa prese le sue fattezze per essere d’aiuto al figlio di Ulisse.

Oggi i giovani, e forse qualche meno giovane, sono bravissimi nei problemi di scelta, nello scegliere fra diverse alternative di cui si conoscono tutte le caratteristiche, ma hanno più difficoltà nelle scelte di decisione, ovvero quando si è chiamati a prendere delle decisioni senza aver chiare tutte le opzioni o caratteristiche.

Ecco allora quale può essere ancora oggi una funzione del mentoring: quella di fornire ai giovani un aiuto specifico, una vera e propria bussola, nell’affrontare i problemi di decisione.

Una seconda funzione, altrettanto benefica, è quella per il mentor, che si sente riconosciuto nelle proprie competenze, spendibili e utili anche al di fuori della propria organizzazione e gratificato dalla generosità del donare senza niente in cambio. Ma ricordiamoci che su alcuni temi sono i giovani, i Millenials e la Generazione Z ad avere qualcosa da insegnare.

Come ho potuto sperimentare direttamente come Mentor del Progetto Mentorship Milano, lanciato dal Comune di Milano nel 2023, prima iniziativa pubblica di mentoring e grazie alla partecipazione con Woment&Tech al programma di mentoring che la rivista Elle propone da qualche anno con Elle Active, un forum dedicato a dare alle donne opportunità concrete per facilitare il loro ingresso nel mondo del lavoro o migliorarlo.

Consiglierei a tutti i professionisti di confrontarsi con un mentor che oggi è, quindi, fondamentalmente chiamato a trasmettere il proprio bagaglio di esperienza e conoscenza, con una propria visione della realtà che lo porta ad agire nell’interesse del bene comune e le cui scelte e azioni sono fonte di ispirazione e motivazione. Non mostra quindi la strada, ma suggerisce il modo per trovarla con uno spirito critico.

E le aziende come dovrebbero comportarsi?  Hai un caso italiano che ti ha incuriosito o colpito positivamente?

I progetti di mentoring sono sempre più diffusi anche all’interno delle organizzazioni, ma in questi contesti richiedono un approccio più definito, per evitare alcuni errori come selezionare con superficialità i mentor, di invitarli a partecipare senza formazione e il rischio che se i leader non riescono a premiare il mentoring, questo possa essere visto come un onere aggiuntivo, invece come una gratifica per essere riconosciuti per il loro contributo di valore e supporto.

Le aziende, quindi, devono lavorare sugli elementi aggreganti, il purpose. Se combinato con gli sforzi per creare un ambiente collaborativo e rispettoso che incoraggi la partecipazione e il contributo di tutti i dipendenti, la diversità sul posto di lavoro e l’inclusione portano a risultati aziendali incredibili in termini di capacità di innovazione, disponibilità al cambiamento, agilità. Questo nella consapevolezza che valorizzare le differenze e incoraggiare l’inclusione sui luoghi di lavoro può costituire un’enorme opportunità e un significativo vantaggio competitivo per il business.

Oggi sempre più imprese stanno aderendo al Women Empowerment Program Manager organizzato da Women&Tech come programma di mentoring pragmatico e interaziendale, un “cantiere innovativo di lavoro” di Donne per le Donne, dove sviluppare e consolidare pratiche di leadership al femminile. Obiettivo è supportare le giovani donne ad alto potenziale, nei momenti importanti o critici della loro carriera attraverso la condivisione delle esperienze di manager di successo, che hanno affrontato sfide simili nella loro vita professionale. Il nostro contributo trasmette loro fiducia, insieme a qualche consiglio pratico e la serenità di non essere sole.

Quanto sono importanti oggi le soft skill? E come vedi la loro evoluzione futura? 

Il World Economic Forum, nel rapporto The future of Jobs, ha tracciato la mappa delle professioni e delle competenze nello scenario post pandemico, in cui convivere con il lavoro ibrido e da remoto. Entro il 2025, 85 milioni di posti di lavoro potrebbero cambiare “posizione” a causa dello spostamento delle mansioni da uomo a macchina, e potrebbero emergere 97 milioni di nuovi ruoli più adatti alla nuova divisione del lavoro tra uomo, macchina e algoritmi.

Si parla dunque di una trasformazione che sappiamo è già realtà, che si tratti di adattarsi a un ambiente remoto o ibrido, di costruire organizzazioni più diversificate, eque e inclusive, o di trovare nuovi modi per migliorare la produttività. Le abilità più richieste non riguardano solo il rimanere al passo con le competenze tecnico professionali.

Secondo gli analisti del WEF, le principali competenze e skills che i datori di lavoro considerano in aumento nel periodo fino al 2025 comprendono gruppi come il pensiero critico e l’analisi, nonché il problem solving, le abilità di autogestione come l’apprendimento attivo, la resilienza, la tolleranza allo stress e la flessibilità.

Per affrontare i problemi di produttività e benessere, circa un terzo di tutti i datori di lavoro si aspetta di adottare misure per creare un senso di comunità, di connessione e di appartenenza tra i dipendenti attraverso strumenti digitali e per affrontare le sfide di benessere poste dal passaggio al lavoro a distanza.

Le competenze relative alla leadership, al lavoro di squadra, alla comunicazione, alla produttività e al benessere saranno, quindi, ancora più fondamentali per le prestazioni di ogni professionista, al pari di quelle specificamente professionali legate al ruolo ricoperto.

Abbiamo a disposizione anche strumenti per acquisire le competenze trasversali (cognitive, relazionali, realizzative e manageriali): i più giovani possono sfruttare i Project Work durante i percorsi di studi, le tesi da realizzare in azienda e gli stage. Per i professionisti nelle aziende si possono mettere in campo Tutoring, Mentoring e Reverse Mentoring, Job Rotation, continuous learning e il Coaching come strumento di crescita e di trasformazione ideale per acquisire una maggiore consapevolezza delle proprie potenzialità ed ambire al raggiungimento di obiettivi di miglioramento realistici e concreti.

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