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Analisi e azioni da intraprendere per coinvolgere la Gen Z (e non solo) nelle aziende
Il termine Great Resignation – grandi dimissioni – descrive un fenomeno osservato a valle della prima ondata di COVID-19 negli Stati Uniti, per cui le persone, dopo aver vissuto i lockdown, sono più propense ad abbandonare il posto di lavoro. Ciò che rende il fenomeno delle grandi dimissioni così interessante è che le persone che in maniera così massiccia abbandonano l’impiego non lo fanno per uscire dal mercato, ma per cambiare lavoro.
La pandemia e le sue conseguenze sull’esperienza del lavoro hanno portato ad un’evoluzione dell’identità delle persone, con nuove priorità e convinzioni: il tempo, la famiglia, la salute fisica e mentale sono importanti e non possono essere superate dal lavoro. Come sottolineato da Microsoft: “l’equazione Worth-it (vale la pena), ovvero ciò che le persone vogliono dal lavoro e quello che sono disposti a dare in cambio – è mutata. Per questa ragione riteniamo più corretto indicare il fenomeno con i termini Great Migration o Great Reshuffle, a segnalare il carattere evolutivo e l’aspetto del cambiamento piuttosto che quello, all’apparenza negativo, dell’abbandono del posto di lavoro.
A livello globale il fenomeno della Great Migration non è equamente distribuito a tutte le età, ma anzi si concentra tra le persone con una vita lavorativa bassa o media. La Generazione Zeta in particolare ha subito più delle altre le conseguenze della pandemia in ambito lavorativo. Inesperta, inconsapevole rispetto alla realtà delle dinamiche operative delle organizzazioni e della realtà del lavoro d’ufficio, la Generazione Zeta ha fatto il suo ingresso al lavoro da remoto, isolata e senza la possibilità di avere quel contatto con i colleghi e i superiori che, specialmente all’avvio del percorso lavorativo, aiuta ad orientarsi e soprattutto ad imparare un mestiere.
Inoltre, nel nostro contesto occidentale, la piramide demografica è rovesciata: la maggior parte della popolazione si posiziona nelle fasce più alte d’età ed il calo demografico degli ultimi decenni contribuisce al sostenimento di questa tendenza nel lungo periodo. Questa realtà ha una sua chiara manifestazione nelle organizzazioni, dove naturalmente si è arrivati ad un momento di confronto tra generazioni diverse, ciascuna con attitudini, abilità e convinzioni specifiche riguardo ai modi di lavorare e alla vita aziendale.
Per queste ragioni pensiamo sia importante conoscere la Gen Z e adottare una prospettiva intergenerazionale alla vita dell’organizzazione. I nativi digitali, cresciuti in tempi di crisi, stanno portando una prospettiva fresca e disruptive nel mercato, sia come customers che come employee. Comprendere i loro comportamenti, le dinamiche e le motivazioni significa per le organizzazioni guadagnare un vantaggio strategico. Entrare in contatto con la Gen Z significa accedere a un pool di talenti ibridi con un grande potenziale innovativo, il cui contributo – se ben indirizzato – potrebbe portare benefici alle aziende, sia sul mercato che internamente, nei loro processi.
Allo stesso tempo, pensiamo che l’urgenza di costruire strategie coerenti per garantire una employee experience efficace sia in realtà, in questa fase post-pandemica, trasversale rispetto alle generazioni che si incontrano in azienda: ciascun gruppo, portatore di un set specifico di esigenze e aspettative, si trova a dover navigare in un contesto lavorativo mutato. E’ compito delle organizzazioni quello di saper supportare e sostenere le persone nello svolgimento delle attività quotidiane, non solo per raggiungere uno scopo di caring ma anche e soprattutto per contrastare il fenomeno della Great Migration discusso in precedenza.
Dal nostro punto di vista, rispondere alla sfida posta dalla Great Migration significa prima di tutto aiutare le organizzazioni a favorire un’attitudine positiva al cambiamento, favorendo l’incontro tra generazioni e mettendo sempre le persone al centro delle iniziative:
Come? Leggi QUI il nostro studio