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Chiunque spenda del tempo online avrà senza dubbio familiarità con i social media: sui social, a seconda della piattaforma, gli utenti hanno la possibilità di caricare foto profilo o di creare modelli 2D o 3D di se stessi. L’avatar, in tale contesto, è dunque la rappresentazione online dell’utente, un’identità digitale contestuale, che differisce da persona a persona, statica o animata.
Esso, dunque, rappresenta la chiave con la quale la maggior parte degli utenti social replica se stessa online. Un avatar può rappresentare fedelmente l’utente, grazie alla possibilità di personalizzarne l’acconciatura, l’abbigliamento, gli accessori, oppure può scostarsi nettamente dalle caratteristiche fisiche ad esso collegate.
La concezione identitaria nel metaverso
La maggiore differenza tra un avatar social ed uno nel metaverso è data dalla flessibilità, rendendo dunque l’avatar “portabile” su più esperienze all’interno del metaverso. Il nostro avatar, il proprio aspetto e l’abbigliamento, saranno pertanto trasferibili ai mondi virtuali che visiteremo. Se sui social l’avatar è la nostra espressione di noi limitata dal contesto, nel metaverso coinciderà invece con la nostra concezione identitaria, seguendoci ovunque decideremo di spostarci all’interno di esso.
Per permettere un grado di immedesimazione tale, Meta tra tutti sta progettando avatar estremamente realistici, replicando l’intera persona ed i movimenti del corpo per creare una vivida sensazione di presenza fisica. Tutto ciò sarà reso possibile grazie agli avanzamenti nell’AI, che studiando i movimenti della persona, ne prevedono con estrema accuratezza la posizione di spalle e gomiti.
Promozione dell’inclusività
L’espressività e la libertà creativa data dagli avatar permettono di estendere noi stessi al mondo virtuale che ci circonda, fino ad utilizzare questi alter ego nei feed, nelle stories, come immagine profilo, quasi come fossero sempre stati parte della nostra persona. Per tale ragione, molti degli avatar di nuova pubblicazione iniziano ad includere elementi di inclusività, quali impianti cocleari ed apparecchi acustici, sedie a rotelle, imperfezioni della pelle ed elementi religiosi o identitari.
L’avatar sei tu!
Gli avatar, dunque, sono sempre più centrali nei contesti di interazione social, basti pensare alle app o software che permettono di creare avatar a nostra immagine e somiglianza, di esprimere le emozioni, o semplicemente la nostra creatività. Si pensi alle Memoji di Apple o ai Bitmoji di Snapchat, tra le due applicazioni più popolari nel panorama social occidentale.
Prendendo proprio l’esempio di Bitmoji, inizialmente sono state rilasciate emoji in 2D che gli utenti hanno utilizzato nelle interazioni online e con le quali gradualmente hanno iniziato a identificarsi, a tal punto da rendere tali emoji dei personaggi 2D o 3D altamente personalizzabili, centrali nella maggior parte delle interazioni di Snapchat.
Per chiunque avesse mai creato un avatar, vi chiediamo dunque di riflettere al tempo e alla devozione con la quale viene scelto ogni piccolo dettaglio. Ciò è reso possibile, in un contesto di realtà virtuale, da un bisogno di rappresentazione analogo a quello del mondo fisico. La creazione di tale espressione di sé impone una risposta alla seguente domanda: “Chi voglio essere e come voglio apparire nel contesto che sto vivendo?”
In tale contesto, l’avatar si erge a prototipo ideale dell’utente, idealizzazione ultima delle sue fattezze in un universo parallelo. Per tale ragione, è solitamente caratterizzato da puntuali attributi fisici, come un taglio di capelli particolare o un colore della pelle diverso, ma anche e soprattutto attribuendo ad esso tratti distintivi di carattere emotivo, come saggezza o coraggio. Ciò implica che sia la persona che l’avatar non si possano considerare come elementi distinti, ma come la fusione del proprio io con l’avatar, la cosiddetta “relazione monadica utente-personaggio” (Klimmt, Hefner, Vorderer – 2009).
Questa fusione si trasla in una situazione definita in letteratura come “identificazione” (Cohen – 2001), in cui l’utente non solo vede il mondo attraverso gli occhi dell’avatar ma riconosce se stesso in esso, sottintendendo un processo immaginativo attraverso il quale il soggetto assume l’identità, gli obiettivi e la prospettiva dell’avatar.
Proprio per ciò che abbiamo appena citato, l’avatar rappresenta la chiave di volta tra il mondo reale ed il mondo virtuale, in una relazione tra i due attori sociali dialettica e biunivoca e non più unilaterale: così come il soggetto influenza fortemente il ruolo del proprio avatar, allo stesso modo l’avatar arriva ad influenzare le azioni dell’utente nella realtà.
Come si stanno muovendo le aziende in questo contesto?
Se analizziamo la questione da una prospettiva puramente di business, le stesse aziende non si stanno facendo certo cogliere impreparate. Anzi, forti della conoscenza della dualità persona fisica-avatar, hanno deciso di agire in tal senso.
La prima grande azienda ad intuire le straordinarie potenzialità degli avatar fu Louis Vuitton che a settembre 2019 lanciò una serie di skins per League of Legends, uno dei videogame più popolari al mondo, peraltro anche e-sport (videogioco competitivo). L’iniziativa di LV permetteva ai giocatori di acquistare outfit per i loro avatar per circa $10 ciascuno. Visto l’incredibile successo dell’iniziativa, a dicembre 2019 LV lanciò una collezione reale disegnata da Nicolas Ghesquière, i cui pezzi si attestavano tra i $170 ed i $5.600. Inutile sottolineare che andarono tutti a ruba in poche ore!
L’avventura di LV diede il là alle aziende fashion luxury e della moda, che iniziarono ad osare in ambiti videogame e metaverso, con Gucci x Genies, Moschino x The Sims 4, Balenciaga x DressX, per non parlare delle skin realizzate da Dolce e Gabbana, Philipp Plein, Ralph Lauren, Givenchy, fino ad arrivare a Tommy Hilfiger e Nike.
A riprova dello straordinario impatto del fisico sul digitale e viceversa vi è il fatto che molti dei pezzi realizzati esclusivamente in capsule collection rivolte al digitale sono poi stati trasposti nel retail fisico.
Nel nuovo paradigma di interazione tra fisico e digitale, è la persona a vestire l’avatar o l’avatar a vestire la persona?