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Transizione verde: le implicazioni per l’infrastruttura energetica

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I Paesi dell’Unione Europea si sono impegnati a ridurre le emissioni dell’UE di almeno il 55% e a portare la quota delle energie rinnovabili al 45% entro il 2030 (Commissione europea, “REPowerEU”, 2022.) con l’obiettivo di rendere l’Unione climaticamente neutra entro il 2050 (Commissione europea, “European Green Deal”, 2019.) Il raggiungimento di obiettivi tanto ambiziosi è possibile solo grazie a un mutamento sostanziale del modello produttivo e delle abitudini dei consumatori: la cosiddetta transizione verde. 

La transizione verde comporterà dei cambiamenti significativi nel modo di produrre, distribuire e consumare energia. Da una parte le fonti rinnovabili acquisiranno un ruolo sempre più importante, andando a sostituire i grandi impianti elettrici a combustibile del passato. La generazione dell’energia diventerà quindi più distribuita: anche i cittadini potranno diventare produttori di energia elettrica e la rete di distribuzione dell’energia elettrica dovrà evolvere di conseguenza. Dall’altra parte, la spinta alla decarbonizzazione porterà a impiegare l’energia elettrica per scopi sempre più variegati: l’energia elettrica potrà essere utilizzata per esempio a fini di riscaldamento, con le pompe di calore, o per esigenze di trasporto, grazie allo sviluppo della mobilità elettrica. L’elettrificazione dei consumi comporterà un aumento consistente del fabbisogno di energia elettrica dei cittadini.  

Di conseguenza, è necessario uno sviluppo dell’infrastruttura esistente che consenta di dare risposta a tali cambiamenti. La Commissione Europea stima che saranno necessari ca. € 58 miliardi di investimenti all’anno fino al 2030 nella rete elettrica e che la maggioranza di tali investimenti (ca. 60-70%) sarà a carico delle società di distribuzione dell’energia elettrica (DSO) [Commissione europea, “Digitalising the energy sector – EU action plan”, 2022].   

Per far fronte alle esigenze della collettività, i DSO dovranno quindi approcciare questa sfida valutando attentamente le priorità di sviluppo ed evolvendo la pianificazione sul lungo periodo degli investimenti nell’infrastruttura.

Tipologie di investimenti e il loro riconoscimento secondo la regolazione italiana 

Gli investimenti sull’infrastruttura sono riconducibili a tre macro-categorie di interventi: estensione, potenziamento e rinnovo. Gli interventi di estensione sono interventi mirati alla costruzione e messa in esercizio di una nuova porzione di rete, come ad esempio nel caso della costruzione di un nuovo elettrodotto per l’elettrificazione di un quartiere. Gli interventi di potenziamento invece vanno ad agire su un’infrastruttura esistente potenziandone la capacità o incrementandone la resilienza. Infine, gli interventi di rinnovo o sostituzione sono mirati a sostituire gli asset dell’infrastruttura esistente arrivati a fine vita o considerati obsoleti.  

L’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA) ha storicamente favorito gli investimenti sulla rete elettrica grazie ad un sistema di remunerazione degli investimenti basato sulla logica della RAB (regulatory asset base). Tuttavia, con l’avvento della transizione verde e con l’obiettivo di incentivare gli investimenti in maniera sempre più trasparente secondo criteri di economicità ed efficienza, l’Autorità sta ridisegnando il sistema di remunerazione degli investimenti al fine di introdurre una regolazione per obiettivi di spesa e servizio (ROSS). 

Attualmente l’Autorità riconosce ai distributori una remunerazione degli investimenti RAB-based. Per gli investimenti sulla rete di distribuzione, la remunerazione riconosciuta ai distributori si compone di due parti: 

  • Componente di remunerazione del capitale investito. Al distributore viene riconosciuta una somma pari al capitale investito netto o RAB, dato dalla differenza tra l’investimento iniziale e gli ammortamenti cumulati, moltiplicato per il costo medio del capitale prefissato dall’Autorità, il cosiddetto WACC (weighted average cost of capital) regolatorio. Il WACC regolatorio viene determinato dall’ARERA; per il settore della distribuzione e misura dell’energia elettrica per il 2023 è pari al 5,2%. (ARERA, “Criteri per la determinazione e l’aggiornamento del tasso di remunerazione del capitale investito per i servizi infrastrutturali dei settori elettrico e gas per il periodo 2022-2027 (TIWACC 2022-2027)”, Delibera 614/2021/R/com, Allegato A.)    
  • Rimborso delle quote di ammortamento dell’asset. Nel corso della vita utile regolatoria dell’asset, vengono rimborsate le quote annuali di ammortamento, fino alla copertura totale del costo di investimento. 

In aggiunta, l’Autorità ha introdotto alcuni meccanismi premianti per incentivare la realizzazione di alcune tipologie di intervento. 

Ad esempio, le imprese distributrici predispongono un piano di resilienza con orizzonte almeno triennale che include tutti gli investimenti volti a incrementare la resilienza del sistema di distribuzione dell’energia elettrica (ARERA, “Testo integrato della regolazione output-based dei servizi di distribuzione e misura dell’energia elettrica”, 566/2019/R/eel, Allegato A, Titolo 10.).

Nel piano di resilienza sono inclusi tutti gli interventi individuati dal DSO che mirano a ridurre il rischio di disalimentazione a fronte dei principali fattori di rischio (neve, allagamenti, ondate di calore, ecc.). Per gli interventi inclusi all’interno del piano che abbiano un rapporto benefici/costi maggiore di 1, è previsto un premio che può arrivare fino al 20% della differenza tra benefici e costi e che, nel caso di ritardi nella realizzazione, può diminuire fino a diventare una penalità. 

Un altro esempio è dato dagli interventi volti a ridurre la durata e il numero delle interruzioni senza preavviso. L’Autorità ha individuato dei livelli obiettivo di durata e numero di interruzioni senza preavviso a seconda della concentrazione di utenti di bassa tensione, che le imprese distributrici sono tenute a rispettare. Nel caso di miglioramenti ulteriori rispetto ai livelli fissati dall’Autorità, vengono riconosciuti dei premi, mentre nel caso in cui i livelli fissati dall’Autorità non siano rispettati, i DSO devono corrispondere delle penali. Di conseguenza, se uno o più interventi sono volti a ridurre la durata o il numero delle interruzioni senza preavviso in un determinato ambito territoriale, oltre al rendimento dell’investimento e al rimborso delle quote di ammortamento, al DSO vengono corrisposti anche i premi per il raggiungimento dei livelli obiettivo di continuità del servizio.  

Dunque, l’attuale sistema di remunerazione degli investimenti si basa prevalentemente su logiche legate alla RAB con alcuni elementi di premi e penalità mirati a incentivare certi tipi di investimento o a raggiungere determinati livelli di qualità del servizio. Con l’introduzione della regolazione per obiettivi di spesa e servizio, invece, il focus non sarà più sulla spesa degli investimenti (logica input-based) ma sui livelli di qualità e servizio raggiunti grazie agli investimenti, che dovranno essere efficienti dal punto di vista economico (logica output-based). 

L’Autorità ha deciso di introdurre, a partire dal 2024, un nuovo sistema di remunerazione degli investimenti con l’obiettivo di superare il modello attuale, che potrebbe portare ad investimenti non necessariamente allineati con gli obiettivi collettivi a livello di sistema elettrico. 

Lo scopo è di legare la remunerazione ai livelli di qualità del servizio raggiunti dai DSO in un’ottica output-based, in maniera simile a quanto già fatto nel Regno Unito, dove l’Autorità di regolazione nazionale (Ofgem) ha introdotto un meccanismo di remunerazione performance-based già nel 2013 per la trasmissione dell’energia elettrica e nel 2015 per la distribuzione dell’energia elettrica. 

Il nuovo modello di remunerazione, la regolazione per obiettivi di spesa e servizio (ROSS), si baserà sull’idea di valutare i costi sostenuti dai DSO con più di 25.000 POD in maniera olistica, senza più distinzione tra investimenti (capex) e spese di gestione (opex), mettendoli in relazione con il livello di servizio raggiunto. 

In particolare, sarà presa in considerazione la spesa totale sostenuta dai distributori, comprensiva quindi sia dei capex sostenuti per i nuovi investimenti, sia degli opex sostenuti annualmente per la gestione dell’infrastruttura, e sarà previsto un incentivo all’efficienza della spesa totale. Solo i costi operativi e le spese di capitale che “rispettino criteri di economicità ed efficienza, allocativa e produttiva” saranno ammissibili ai fini della remunerazione.6 

Ai DSO sarà riconosciuta la spesa effettiva totale, mediata da un meccanismo di premi/penali determinato in funzione del livello di efficienza raggiunto sulla spesa totale rispetto a target prestabiliti. La spesa riconosciuta potrà essere remunerata in due modi: sotto forma di slow money, e quindi con i meccanismi di remunerazione del capitale investito e degli ammortamenti (che finora sono stati tipici dei capex), e sotto forma di fast money, vale a dire tramite il riconoscimento dei costi sostenuti. Sarà però l’Autorità a fissare il tasso di capitalizzazione, vale a dire la percentuale della spesa totale che sarà remunerata sotto forma di slow money. 

Inoltre, l’Autorità ha previsto un meccanismo di monitoraggio dell’andamento delle spese di capitale e dell’avanzamento fisico degli investimenti, basato su indicatori specifici che saranno definiti per la distribuzione elettrica entro il 2024. 

Queste logiche contraddistinguono il modello di remunerazione ROSS-base-T (transitorio): il modello base evolverà poi in modello ROSS-base-R (a regime) e in modello ROSS-integrale, con tempistiche diverse a seconda della tipologia di impresa distributrice. 

Il modello ROSS-base-R è molto simile al modello ROSS-base-T: l’unica differenza è che saranno utilizzati dei costi standard per la determinazione della baseline di spesa di capitale. 

Il ROSS-integrale invece prevede che i DSO preparino dei business plan, comprensivi di tutti gli investimenti e delle attività di esercizio della rete e di manutenzione ordinaria, che saranno valutati e approvati dall’Autorità (controllo ex ante). A partire dai business plan approvati, sarà poi avviato un processo di verifica dell’effettivo livello di spesa, a fronte dell’effettivo grado di raggiungimento degli output e delle performance tecniche e di qualità (controllo ex post) [ARERA, “Avvio di procedimento per l’adozione di provvedimenti in materia di criteri di regolazione per obiettivi di spesa e di servizio (ROSS integrale)”, 527/2022/R/com. ]. 

L’introduzione del ROSS è ormai prossima: a partire dal 2024, le imprese di distribuzione e misura dell’energia elettrica saranno remunerate sulla base del ROSS-base-T e sarà possibile una prima sperimentazione del ROSS-integrale per E-Distribuzione, in quanto società di distribuzione maggiore per numero di POD. A partire dal 2026, ad E-Distribuzione si applicherà il ROSS-integrale e agli altri DSO il ROSS-base-R, ferma restando la possibilità di una sperimentazione del ROSS-integrale per ARETI, UNARETI e IRETI, società che servono oltre 500.000 POD. Per i DSO che servono meno di 25.000 punti di prelievo e che sono soggetti al regime tariffario parametrico, invece, non si applicheranno le disposizioni relative al ROSS. 

Parallelamente alle novità introdotte dal ROSS, la maggiore attenzione dell’Autorità alle modalità di individuazione e selezione degli investimenti sull’infrastruttura energetica è testimoniata anche dai recenti indirizzi espressi nel documento per la consultazione 173/2023 e dalla successiva delibera 296/2023 in merito ai Piani di sviluppo della rete di distribuzione, che i DSO con almeno 100.000 clienti finali predispongono periodicamente. Infatti, l’Autorità ha identificato la necessità di stabilire una struttura armonizzata dei contenuti dei Piani di sviluppo e di stabilire un approccio metodologico comune da utilizzare per l’identificazione e la selezione degli investimenti e per la definizione delle modalità di stima dei costi degli interventi. L’auspicio è che i piani di sviluppo così modificati possano essere il punto di partenza per arrivare a dei Piani Integrati di Distribuzione, comprensivi di tutte le attività di investimento, e un importante tassello nella prospettiva del ROSS-integrale.   

In sintesi, il passaggio dalla remunerazione RAB-based al ROSS comporta un completo cambio di paradigma. Il meccanismo RAB-based comportava dei forti incentivi ad investire nell’infrastruttura, con nulli o scarsi limiti agli investimenti identificati dai DSO, e degli incentivi a efficientare le spese operative. Con l’introduzione del ROSS, invece, i DSO dovranno prevedere un efficientamento generale nella gestione degli asset, bilanciando le spese di capex e opex al fine di identificare la soluzione di spesa complessiva ottimale. Inoltre, con l’applicazione del ROSS-integrale, i DSO dovranno predisporre periodicamente dei business plan volti a dimostrare e giustificare la validità di tutti gli investimenti proposti e le spese sostenute, consentendo all’Autorità di esercitare un maggior controllo sulle spese effettivamente approvate e remunerate.

L’importanza di una strategia integrata degli investimenti

La transizione verde pone numerose sfide ai DSO: l’elettrificazione dei consumi, lo sviluppo dell’e-mobility, la generazione distribuita dell’energia elettrica e la necessità di garantire la continuità del servizio richiedono di potenziare, rinnovare e digitalizzare l’infrastruttura energetica per poter soddisfare al meglio i fabbisogni della collettività. Come si è visto, il volume di investimenti necessari a tale scopo è significativo. Di conseguenza, diventa sempre più importante allocare al meglio le risorse disponibili, che per loro natura non sono infinite. L’allocazione ottimale delle risorse è ancora più rilevante alla luce del cambio regolatorio della remunerazione degli investimenti: con l’introduzione del ROSS i distributori saranno tenuti a pianificare gli investimenti secondo criteri di efficienza e, con l’applicazione del ROSS-integrale, l’Autorità valuterà e approverà i singoli business plan.  

Per le società distributrici sarà quindi sempre più importante adottare una strategia di pianificazione degli investimenti integrata, che tenga conto di tutti gli investimenti necessari per lo sviluppo e l’ammodernamento dell’infrastruttura energetica prioritizzandoli in maniera funzionale al raggiungimento degli obiettivi aziendali interni e al soddisfacimento delle esigenze della collettività. L’evoluzione della strategia di pianificazione degli investimenti può essere supportata al meglio dallo sviluppo di un approccio metodologico oggettivo che consenta di identificare i fabbisogni, definire di conseguenza i possibili investimenti e prioritizzarli e selezionarli in base agli obiettivi e ai vincoli interni ed esterni, individuando così un piano ottimizzato degli investimenti.

Il primo passo consiste nel confronto tra l’assetto infrastrutturale attuale e l’identificazione della domanda futura di energia elettrica, che consente di individuare i gap rispetto ai fabbisogni della collettività. A partire dai gap identificati è quindi possibile definire i possibili interventi funzionali a colmare i gap e a rispondere alle esigenze della collettività. 

Una volta definiti i possibili interventi si giunge al cuore della strategia di pianificazione degli investimenti: gli interventi vanno valutati e prioritizzati, in base al loro impatto e al loro ritorno. La valutazione e selezione degli investimenti può essere fatta prendendo in considerazione più o meno fattori: una valutazione completa dell’intervento non può prescindere dal ritorno economico dell’investimento, ma deve considerare anche tutti gli altri impatti generati dall’investimento, positivi e negativi, come ad esempio il miglioramento dei livelli di qualità del servizio o la riduzione del rischio ambientale o sociale.  

Gli interventi così selezionati vengono quindi declinati temporalmente in un masterplan delle iniziative, che consente poi di governare l’esecuzione degli interventi monitorando l’avanzamento in termini economici e fisici. 

Come è evidente, la costruzione del piano degli interventi e del relativo masterplan dipende in larga parte dalla metodologia utilizzata per valutare e selezionare gli investimenti: più tale metodologia è oggettiva e completa, maggiore è la probabilità di costruire un piano degli investimenti che sia effettivamente ottimizzato e in linea con gli obiettivi strategici.  

Nel corso del tempo, BIP ha messo a punto una metodologia di valutazione degli investimenti basata sulla misurazione dei loro impatti positivi e negativi, per selezionare nella maniera più oggettiva e completa possibile gli interventi ed arrivare alla definizione di un piano degli interventi ottimizzato.

Valutare gli investimenti sulla base dei loro impatti 

Per valutare il più accuratamente possibile un intervento, occorre considerare tutti gli impatti generati da tale intervento, sia quelli positivi sia quelli negativi. Il primo passo è identificare tali impatti, il secondo è costruire un modello che sia in grado di quantificarli e di monetizzarli, consentendo così il paragone tra i diversi impatti. Infatti, non sempre gli impatti di un intervento sono economici: esistono anche impatti di tipo non economico, come ad esempio il miglioramento della sicurezza per gli utenti finali o la riduzione dell’impatto ambientale dell’infrastruttura. 

La quantificazione dei benefici e dei costi deve sempre seguire un approccio differenziale, considerando solo gli impatti differenziali tra lo scenario in cui viene realizzato l’intervento e quello di baseline attuale in cui l’intervento non è stato realizzato.

Gli impatti positivi, o benefici, che genera un intervento possono essere ricondotti principalmente a quattro categorie: 

  1. Riduzione dei livelli di rischio. Questo tipo di benefici si verifica quando la realizzazione di un intervento comporta una riduzione dei livelli di rischio attuali. Ad esempio, un intervento che comporta un miglioramento della sicurezza dell’infrastruttura genera una riduzione del rischio sociale, vale a dire del rischio che si verifichino danni a cose e persone; 
  1. Riduzione di costi. Alcuni interventi possono comportare una riduzione dei costi attualmente sostenuti dal DSO. Ad esempio, un intervento di potenziamento di una cabina che preveda anche l’introduzione di meccanismi di monitoraggio a distanza e di telecontrollo comporta una diminuzione dei costi di gestione e manutenzione ordinaria della cabina legati agli interventi in campo; 
  1. Costi evitati grazie alla realizzazione dell’intervento. In alcuni casi, la realizzazione di un intervento permette di evitare alcuni costi che si sarebbero verificati se l’intervento non fosse stato realizzato. Ad esempio, a causa della situazione as is dell’asset può essere necessario realizzare delle opere di protezione; tuttavia, se si interviene sull’asset migliorandone le caratteristiche di sicurezza, è possibile evitare il costo delle opere di protezione. 
  1. Sviluppo del servizio. Questo tipo di benefici si verifica quando è incrementata la qualità del servizio, ad esempio con l’estensione della copertura grazie all’allacciamento delle nuove utenze nel caso di lottizzazioni. 

Una volta identificati tutti i benefici generati dall’intervento, è possibile costruire un modello di calcolo per quantificare e monetizzare ciascun beneficio. Per alcuni benefici ciò può essere semplice, come ad esempio per i costi evitati che sono già monetizzati per loro natura, mentre per altri, come ad esempio per la riduzione del rischio sociale, la quantificazione e monetizzazione può essere più complessa.

Un intervento genera anche impatti negativi, vale a dire costi. La prima tipologia di costi consiste proprio nei costi di realizzazione dell’intervento. Ciascun intervento comporta dei costi legati alla sua realizzazione, che possono essere meramente economici (es. il costo di costruzione di un nuovo elettrodotto) ma anche di tipo non economico, come ad esempio l’inquinamento rumoroso causato dai lavori o i disagi causati dal cantiere alla viabilità. 

Inoltre, un’altra categoria di costi che va considerata in caso di interventi di sostituzione, fa riferimento al valore residuo del cespite: interventi di sostituzione di asset non ancora giunti al termine della loro vita utile generano una minusvalenza, che è trattata al pari di un costo. 

La definizione del Piano ottimizzato degli investimenti 

Dopo aver identificato i costi e i benefici di ciascun intervento, è possibile procedere con l’ottimizzazione del Piano degli investimenti. In primo luogo, è necessario scegliere l’indicatore di performance dell’investimento che si vuole utilizzare e calcolarlo per ciascun investimento. Se i costi e i benefici sono stati identificati correttamente, l’indicatore più appropriato è proprio il rapporto benefici/costi dell’intervento: tale rapporto è maggiore di 1 solo se l’intervento ha un impatto positivo sulla collettività, grazie al fatto che i benefici più che compensano i costi. 

Dopodiché è necessario definire gli obiettivi dell’ottimizzazione. Ad esempio, se l’obiettivo è costruire il Piano in modo che abbia il migliore rapporto benefici/costi, gli investimenti con un rapporto B/C maggiore avranno la maggiore priorità, mentre quelli con un rapporto B/C troppo basso saranno scartati. In un mondo ideale, basterebbe ciò a definire il Piano ottimizzato degli investimenti, tuttavia vanno tenuti in considerazione anche dei fattori esterni: ci possono essere tipologie di interventi a cui è comunque necessario attribuire un’elevata priorità, ad esempio perché obbligatori per legge ancorché non analizzati dal punto di vista di benefici e costi. Inoltre, vanno considerati i vincoli dell’ottimizzazione, che possono essere di tipo tecnico-economico, ad esempio dei vincoli di spesa massima, o di tipo tecnico, come ad esempio il raggiungimento di determinate performance tecniche. 

Sulla base dell’indicatore di performance, dell’obiettivo di ottimizzazione, di eventuali categorie di interventi prioritari e dei vincoli all’ottimizzazione, vengono quindi selezionati e prioritizzati gli interventi che faranno parte del Piano pluriennale ottimizzato degli investimenti. Gli interventi vengono quindi collocati temporalmente negli anni in cui si prevede la loro progettazione ed esecuzione, in modo da definire il masterplan delle iniziative.  

La collocazione degli interventi nel tempo avviene sulla base di considerazioni tecniche (es. livelli di qualità tecnica da raggiungere entro un certo anno, previsioni della domanda di energia elettrica, ecc.) e di considerazioni di carattere più prettamente pratico. Ad esempio, per la pianificazione degli interventi di importo significativo vanno tenute in considerazione le tempistiche necessarie alla progettazione esecutiva, alla richiesta delle autorizzazioni e alle eventuali procedure di gara nel caso di esecuzione dell’intervento svolta da imprese terze. In tal senso, l’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti (D.lgs. 36/2023), che prevede alcune semplificazioni nelle procedure di affidamento dei lavori introducendo dei limiti più alti per gli affidamenti diretti e un sistema semplificato per le procedure negoziate, consente di accorciare le tempistiche preliminari alla realizzazione degli interventi garantendo così maggiore flessibilità in fase di definizione del masterplan. 

Una volta definito il masterplan delle iniziative e avviati i lavori, il masterplan diventa lo strumento di monitoraggio dell’avanzamento fisico ed economico degli interventi: tramite il confronto tra i dati del masterplan e i dati effettivi a consuntivo è possibile intercettare tempestivamente gli eventuali scostamenti e agire di conseguenza. 

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